IL TAR DEL VENETO ANNULLA LA DELIBERA REGIONALE NELLA PARTE IN CUI FISSA IL LIMITE DI ETA' PER ACCEDERE ALLA FECONDAZIONE ETEROLOGA
In materia di tecniche di procreazione asssitita siamo attulamente ancora in attesa che la Corte Costituzionale si pronunci nuovamente circa la legittimità della legge n. 40/2004, questa volta in punto di divieto di accesso alla fecondazione da parte delle coppie fertili portatrici di patologie genetiche.
Intanto, con riferimento alla stessa materia, il TAR del Veneto ha annullato la delibera regionale nella parte in cui prevedeva il limite di 43 anni per poter accedere presso le strutture sanitarie pubbliche alla fecondazione eterologa.
La delibera regionale annullata recepiva il contenuto del documento approvato dalla Conferenza Stato-Regioni, contenente le linee guida da seguire in materia di fecondazione assistita a livello nazionale, ponendo però una distinzione tra le due tecniche di fecondazione, quella omologa e quella eterolologa: solo per quest'ultima infatti veniva fissato un limite di accesso, essendo vietata alle donne che avessero superato i 43 anni di età.
Come rilevato dai giudici amministrativi, tuttavia, il documento elaborato dalla Conferenza non rappresenta un atto amministrativo, ed infatti non tutte le regioni si sono uniformate alla proposta. Solo per fare alcuni esempi, Piemonte ed Emilia Romagna hanno applicato il limite di 43 anni senza operare distinzioni tra tecniche di fecondazione assistita, mentre altre regioni, come ad esempio il Friuli Venezia Giulia, hanno fissato in entrambi i casi il limite di età a 50 anni.
In proposito è bene ricordare che la Corte Costituzionale, nel dichiarare illegittimo il divieto di fecondazione assistita di tipo eterologo, ha sancito che la disciplina dell’omologa debba trovare applicazione anche per l’eterologa (pronuncia n. 162/2014).
Sulla scorta di tale decisione, i giudici amministrativi hanno spiegato che "La riconosciuta assenza di un vuoto normativo, colmato dalla presenza di una normativa statale applicabile anche alla fecondazione eterologa, in quanto analoga, pur se con differenze oggettive proprie della sua specificità, a quella omologa, deve indurre a ritenere valide anche per tale tecnica le regole di principio già dettate dal legislatore nazionale. Orbene, per quanto riguarda l’età della donna, la norma nazionale non dà indicazione precisa, ma fa riferimento all’età potenzialmente fertile, che quindi deve valere per entrambe le ipotesi. L'intervento della Regione si pone in evidente contrasto sia con la normativa statale (che non fa distinzioni), sia con i principi generali di eguaglianza, così come ricordati dalla stessa Corte Costituzionale proprio in occasione dell’affermata analogia delle due tecniche procreative assistite".
Per questi motivi il Collegio ha quindi accolto "il ricorso proposto avverso la delibera impugnata in quanto viziata per violazione dei principi costituzionali di eguaglianza, nonché del diritto alla genitorialità ed alla salute, disponendone l’annullamento nella parte in cui ha ritenuto di applicare solo nel caso della PMA eterologa il limite di età di 43 anni per la donna". (Fonte www.quotidianosanità.it)